Pubblicato il 23 Febbraio 2017
Cosa leggere in questa vita, per la gioia della partita?
di Melissa Pignatelli
Se fossi professore suggerirei ai miei studenti di leggere La Gioia della Partita di Cesare Garboli (Adelphi, 2017) e se lavorassi in libreria lo suggerirei ad un lettore indeciso. Perché? Perché il leggero dinsincanto con il quale l’autore dialoga come se fosse a tu per tu con gli scrittori che recensisce o commenta ha un fascino che ammalia e trascina verso l’interno della scrittura. Garboli ha quella rara facoltà di trovare quel punto preciso nel quale appare la voce di chi scrive o di chi narra, lasciando così una traccia precisa ed unica della propria personalità.
Il panorama intellettuale che s’intravede così negli scritti dispersi riuniti da Laura Desideri e Domenico Scarpa per Adelphi, per lo più degli anni giovanili di Garboli, suggerisce tanto una varietà di interessi, quanto una sorta di ironica insofferenza per quelle tracce stesse della personalità che riesce a sottolineare in ognuno dei suoi scritti, per ognuno degli scrittori ed artisti di cui parla.
Come si legge nella postfazione di Domenico Scarpa il motivo del titolo del libro La gioia della partita “proviene da un articolo del 1976 sul gioco degli scacchi, al quale Garboli si dedicò in più modi: per svago, come inviato ai grandi tornei mondiali e infine – per ricorrere a una parola yiddish introdotta da Primo Levi – come kitzbitzer, qualcosa tra lo spettatore e il disturbatore”.
E poi ancora si legge che “per Garboli gli scacchi furono la passione di un ragazzo la cui intelligenza è uno strafottente nervo involontario, di un adulto che ha il puntiglio dell’organizzare e di una persona bennata che sa sedersi sull’erba senza macchiare i pantaloni”.
Una personalità complessa dunque quella di Cesare Garboli, una carriera che sembra dover essere stellare ma che si ferma, per poi ripartire molti anni dopo evidenziando, comunque, un talento letterario particolare. Ad esempio di Natalia Ginzburg fa notare un certo lato pudico nel raccontare la sua contemporaneità, di Walter Benjamin immagina lo stupore del filosofo al pensiero che l’aura possa sopravvivere senza l’opera d’arte, di Federico Fellini nota la messinscena ironica della vita stessa del regista, di Elisabeth Smart scorge la vena innovativa dei titoli lunghi, a Roberto Longhi domanda che cosa avrebbe scritto se nessuno avesse dipinto, e così via su Dante, Molière, Cesare Pavese, Elsa Morante: una penna arguta ed ironica dunque che suggerisce letture particolari.
Perché è proprio grazie a quel velo, tra l’ironico ed il profondamente umano che non lo abbandona mai, che Garboli riesce a risvegliare la curiosità per gli scrittori più diversi tra loro, dai classici ai contemporanei, aiutando così lettori indecisi a scegliere su cosa poggiare la propria attenzione per rinnovarsi, confrontarsi, ritrovarsi.
Un libro quindi che non è solo per gli appassionati di critica letteraria, ma che può essere usato come “compendio di suggerimenti di lettura” per coloro che cercano uno strumento utile attraverso il quale decidere cosa approfondire del vasto panorama letterario che ogni giorno si offre ai nostri occhi.
E’ con gioia dunque che si suggerisce ai più diversi lettori impegnati nel lungo viaggio della vita di soffermarsi qualche istante su “la gioia della partita”.
Melissa Pignatelli
Link al libro: Cesare Garboli, La gioia della partita, Adelphi Edizioni, 2016
Fotografia: By Levente Fulop from Brno, Czech Republic, The King’s Game, CC-BY
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi