Pubblicato il 21 Giugno 2019

Ibn Khaldun, il primo sociologo della Storia

di Giulia Bertotto

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Il passato e il presente si assomigliano più di due gocce d’acqua”

Ibn Khaldun (1332-1406) è riconosciuto fondatore della disciplina storica e uno dei primi sociologi. Il suo sforzo fu quello di assegnare alla storia un’epistemologia, facendola uscire da una concezione conservatrice che vedeva la storia come una glorificazione dell’etnia di appartenenza. 

Visse in un periodo instabile per il Maghreb, sconvolto da una terribile peste, lotte intestine tra le dinastie e terremoti socio-politici. Fu cortigiano e ministro a servizio della dinastia tunisina degli Hafsidi, poi anche ambasciatore; questi incarichi politici gli diedero la possibilità di osservare e comprendere le dinamiche di potere e i giochi diplomatici che tramavano nelle corti. Tamerlano si informò presso di lui sullo stato del Maghreb. Alla fine della sua vita fu docente e giudice, terminò la stesura della sua “storia universale” e morì in Egitto. Khaldun è tuttora apprezzato in Europa per le sue analisi moderne delle componenti di sviluppo e di arresto economico.

Ibn Khaldun scrisse “Muqaddima”, un’ interpretazione sociologica della storia, contente la nozione di “storia ciclica”. La sua rivoluzione epistemica stava nel leggere la storia in un’ottica il più possibile scevra dal mito, dalla celebrazione eroica della propria origine collettiva, un tentativo quasi di “realismo politico”. Propose quindi uno studio della storia quale scienza moderna, rete di forze interne ed esterne ad ogni civiltà che le portano alla gloria o alla rovina. Escludendo mire finalistiche e teologiche dallo studio dei rapporti umani, fondò la sociologia (umram), in opposizione alla tradizione che proponeva una visione leggendaria dei rapporti umani. Spiegò come si sviluppano le funzioni antropologiche di aggregazione di un entità sociale, dal sangue comune, all’identità della lingua, comportamenti di gruppo.

Khaldun fece luce sulle cause di crisi e decadenza, che colpiscono le civiltà sedentarie e che pongono le basi per le invasioni e le guerre, tipizzando la popolazione nomade e quella sedentaria nelle loro caratteristiche sociali e di coesione interna; parlò di elementi economici, costituiti dalla consistenza demografica, dai guadagni, l’aumento del benessere, il lusso e le sue conseguenze socio-politiche.

Oggi è preziosa la sua analisi dei fattori climatici, che adesso più che mai costringono alle migrazioni e aizzano le conquiste. In questo stato di emergenza climatica che alcuni esponenti politici negano, parliamo ragionevolmente di migrazioni dovute al clima. Popolazioni intere sono schiacciate dallo sfruttamento delle risorse, fenomeno complesso derivante dall’estremizzarsi delle condizioni climatiche e quindi dallo squilibrio delle opportunità di attingimento alle risorse. Popolazioni profughe nell’impossibilità di fronteggiare economicamente il surriscaldamento globale si muovono verso luoghi in cui il clima è più favorevole o dove le strutture economiche consentono di produrre e commerciare nonostante le severe condizioni di desertificazione.

Ibn Khaldun è considerato uno dei massimi filosofi politici, padre della sociologia in Africa e storico ante litteram. Siamo qui a ricordarlo, almeno finché non sceglieremo davvero l’estinzione climatica. Il passato e il presente non si assomiglieranno più se non resterà nemmeno una goccia d’acqua.

Giulia Bertotto

In fotografia: Statua di Ibn Khadun a Tunisi, Tunisia, 2014.

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