Pubblicato il 27 Gennaio 2024
“Blues a Teheran”, la contro-narrazione spiritosa di un paese molto serio
di Melissa Pignatelli
Sapevamo che le donne iraniane hanno una forza speciale, grinta e coraggio da vendere e un’ironia fresca e feroce che fa credere anche a noi che riusciranno a cambiare il mondo, ma con Blues a Teheran libro appena uscito in libreria per Raffaello Cortina Editore (238 pp., 18 €), incontriamo di persona una di queste sofisticate rivoluzionarie: Gohar Homayounpour, psicanalista, l’autrice.
Gohar Homayounpour, è una “donna di mondo” come si diceva una volta, è nata a Parigi, ha vissuto negli Stati Uniti, in Canada e infine a Teheran, capitale di un ex-impero (quello persiano) oggi in disgrazia presso l’Occidente. A Teheran, megalopoli dalla personalità molto sfaccettata, l’autrice esercita la professione di psicanalista, una postazione di vedetta interna che le permette di cogliere una realtà celata da diversi perbenismi, religiosi o borghesi che siano. Ma per non incedere nella scrittura con pagine tediose, Homayounpour concepisce un libro alla maniera di frammenti indipendenti, frizzanti come una conversazione tra amiche irriverenti.
Così le situazioni che l’autrice-psicanalista raccoglie nei brevi capitoli di Blues a Teheran, vanno dalle madri narcisiste alle sofferenze della guerra dimenticata Iraq-Iran, dai gelsomini rampicanti alla psoriasi del fratello, dalla poesia di Forough Farrokzad alle storie di Sheherazade, dagli Afghani che non cercano più di immigrare all’Iran rovinato dalle sanzioni, fino alle ferite di chi ha dovuto lasciare il paese a causa della Rivoluzione Islamica del 1979.
Fra i racconti che sferrano colpi indimenticabili ai più vari stereotipi geopolitici, forse vince tra tutti quello di un pranzo tra “una saudita, un’israeliana e un’iraniana che sembra l’inizio di una barzelletta”, tre amiche e madri di cui i paesi sono in guerra. Le tre si ritrovano per un pranzo durante il quale l’amica israeliana confessa alle altre due di essere sollevata che i suoi tre figli maschi preferiscano la prigione all’arruolamento nell’esercito, e scelgano questa via per opporsi alla violenza. L’altra, l’amica saudita, rovescia il mito della maternità della quale attacca gli aspetti più indigeribili e “ammette di alzare troppo spesso la voce con i figli, di provare il desiderio di abbandonarli, di essere rimasta sconvolta dalle trasformazioni del suo corpo in gravidanza. Senza contare l’aspetto più ambivalente di tutti del quale non si parla quasi mai: le gioie e gli orrori dell’allattamento”, il tutto mentre beve vino senza moderazione.
Homayounpour racconta dunque aneddoti della sua vita e di chi le sta accanto con la leggerezza scaltra e intelligente, profonda e riflessiva della psicanalista la quale, con la fiducia dell’amica intima costringe chi legge a guardarsi dentro per domandarsi se “anch’io penso la penso così?”, “anch’io sono vittima di stereotipi e convenzioni sociali?”. E tutte le risposte confluiscono nella dimostrazione della forza di una narrazione femminile che con garbo e savoir-faire può diventare la contro-narrazione di un paese, l’Iran, che nasconde la sua energia rivoluzionaria sotto un velo che tutto cela e tutto lascia intendere.
Melissa Pignatelli
Gohar Homayounpour, Blues a Teheran, Raffaello Cortina Editore, 2024
Immagine: copertina di Contemporary Iranian Art, New Perspectives di Hamid Keshmirshekan, Saqi books, 2013
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi