Pubblicato il 29 Luglio 2022
“Il corpo della donna”: ripensare una categoria plurale
di Alice Manfroni
“Il corpo della donna” è una categoria discorsiva, un dispositivo, che nel nostro contesto occidentale chiama in causa una potente e contraddittoria simbologia: corpo fertile, riproduttore, fragile, pericoloso, pubblico, resistente. Una serie di rappresentazioni che fanno parte della genealogia culturale del mondo occidentale eche, come ha suggerito Foucault (1976), a partire dal XIX secolo sono state più o meno legittimate e regolamentate dal sapere medico, rafforzando le visioni essenzialiste e biologiste del soggetto donna. L’utilizzo di tale categoria si ritrova soprattutto nel discorso sui diritti, recentemente riemerso nei media italiani in seguito alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire a livello federale il diritto all’aborto, per cui risultainteressante presentare alcune prospettive antropologiche sul corpo e sul genere per riflettere sull’identificazione dominante tra la categoria “donna” e quella del corpo riproduttore.
“Il corpo della donna” infatti è stato, e continua ad essere, al centro di importanti dibattiti teorici e politici, tanto negli ambienti accademici quanto in quelli istituzionali e pubblici. A volte ascoltata, altre volte ignorata, l’antropologia, negli anni, ha contribuito a diffondere nuove prospettive sulla corporeità, a partire dal riconoscimento del corpo come una vera e propria categoria storica che acquista significati diversi a seconda del contesto culturale di riferimento. Il corpo è stato visto non più come luogo naturale, dato, fisso, ma come costrutto storico-culturale della soggettività, diventando oggetto privilegiato di molte ricerche. Alla base dei contributi antropologici che indagavano i processi culturali e politici di costruzione dei corpi in diversi contesti socioculturali troviamo le nozioni di “tecniche del corpo” di Mauss (1936) che ci consentono di osservare la capacità del corpo di naturalizzare le tecniche acquisite tramite l’educazione, o l’”incorporazione” di Csordas (1990) che porta a riflettere sui processi di interiorizzazione del dato culturale, riconoscendo il corpo non più come oggetto da studiare, ma vero e proprio soggetto di cultura.
Il corpo, così inteso, emerge quindi come luogo in cui si giocano e mettono in scena i rapporti e le tensioni sociali; arena politica per le battaglie identitarie, è stato considerato come soggetto politico in cui si attiva e negozia il potere. Se si analizza il corpo nella sua dimensione politica, infatti, appare assai fruttuoso tenere insieme lo sguardo su due differenti processi: da una parte, sulla naturalizzazione delle norme e sull’incorporazione dell’ideologia dominante, dall’altra, sulla prassi corporea intesa come il lavoro costante e performativo del soggetto nella costruzione del corpo stesso. In questo modo è possibile guardare alla corporeità come a un processo storico, culturale e politico e, insieme, personale e individuale, che acquista significato nella specificità delle esperienze dei soggetti (Scheper-Hughes, Lock 1987).
Grazie, inoltre, alla presa di parola delle soggettività marginalizzate (donne, persone razzializzate, soggettività Lgbtqia+) è stato possibile riconoscere che non tutti i corpi si relazionano con il potere allo stesso modo. Nel contesto occidentale, infatti, il corpo che non deve mai essere nominato,perché passa inosservato, è un corpo maschile, eterosessuale e bianco. Il corpo femminile è l’”Altro”, il particolare, il “secondo sesso” di Simone de Beauvoir. Il “corpo della donna” è, infatti, il risultato di una socializzazione dei generi, nel corso della qualenon solo la donna è distinta dall’uomo, ma è anche a lui sottomessa. La nozione di genere, intesa come processo di costruzione dei corpi sessuati, ha aiutato quindi a cogliere i rapporti di potere presenti in tali processi.
Riconoscere che il corpo e le sue funzioni biologiche non hanno significato al di fuori di ciascuna cultura ha portato a mettere in discussione uno degli assi centrali su cui si basa la dominazione sulle donne nel nostro contesto occidentale: l’identificazione della donna con le sue funzioni riproduttive. Il concetto di genere ha permesso di riconoscere, infatti, che non esiste un’unica natura, un unico destino umano differenziato per gli uomini e le donne. Non è quindi possibile parlare di corpi sessuati senza contestualizzarli all’interno di uno specifico sistema culturale di riferimento. Nel contesto occidentale, l’estensione di una particolare funzione biologica, qual è quella della procreazione, a destino naturale e simbolo identificativo della femminilità sta infatti alla base del dominio maschile, per cui l’addomesticamento e il controllo del potere riproduttivo delle donne appare essere un processo di ordine politico fondamentale (Tabet 2014). L’identificazione donna-riproduzione, infatti, pervade il nostro contesto socioculturale e la ritroviamo, ad esempio, nella nozione di “salute della donna”, oggetto di campagne di prevenzione e tutela da parte dello Stato. Un esempio che mostra chiaramente come la “salute della donna” sia connessa ai suoi genitali e associata unicamentealla salute sessuale e riproduttiva.
Sebbene la categoria del “corpo della donna” rimandi a determinati discorsi culturali, le riflessioni antropologiche sulla corporeità e sui processi di costruzione del genere aprono e decostruiscono tali discorsi. Ci invitano, ad esempio, a guardare ai corpi sessuati non come oggetti passivi dei dispositivi di potere, ma come soggetti che esprimono desideri, potenzialità e possibilità di trasformazione. I movimenti femministi hanno infatti avviato un imponente lavoro di risignificazione culturale del soggetto donna e unito alla rivendicazione di diritti fondamentali quali la contraccezione e l’aborto, ancora oggi terreno di scontropolitico. Inoltre, da anni ormai, le tecniche di riproduzione medicalmente assistita hanno aperto nuove frontiere per ripensare la sessualità, la riproduzione e i soggetti coinvolti. E l’emersione pubblica delle esperienze di soggettività gestanti che non rientrano nel modello normativo della donna, come ad esempio le persone trans con utero e vagina, scuotono sempre più le rappresentazioni normative della femminilità.
E allora, come utilizzare oggi la categoria del “corpo della donna”? Che significati possiamo dargli senza riprodurre discorsi essenzialisti e visioni escludenti del soggetto “donna”?
Le indagini sul corpo e sul genere hanno messo in discussione il discorso dominante sulla naturalità del corpo femminile, a dimostrazione di come l’identificazione con un corpo riproduttore sia un discorso prettamente culturale, specifico e contestuale. Le esperienze delle donne che vivono in contesti socioculturali o condizioni di vita differenti da quelle delle donne bianche, eterosessuali e occidentali, unite alla presa di parola diretta di queste soggettività, ci guidano nel superare un’idea omogenea e universalistica del soggetto donna. Riconoscere le esperienze specifiche delle donne nere, lesbiche, non occidentali e delle persone trans ha permesso di considerare l’insieme delle condizioni e dei rapporti di potere che caratterizzano la realtà delle donne, facendo emergere differenti rappresentazioni, pratiche e modi di agire del “corpo della donna” (Fusaschi 2013). È stato infatti ponendo l’attenzione sulle differenze, che sono emerse le relazioni di potere che fabbricano “i corpi delle donne” e che oltrepassano i confini del binarismo di genere. È attraverso una visione plurale del soggetto donna, non identificato con la sua sessualità e le sue funzioni riproduttive, che si possono quindioltrepassare i confini normativi dell’identificazione donna-riproduzione. L’utilizzo, quindi, della categoria plurale “i corpi delle donne” può essere un primo passo per dare legittimità e riconoscimento alle molteplici esperienze, pratiche e identità delle donne. Un passo che senz’altro deve essere riempito di contenuti, decostruzioni, messa in discussione dei discorsi dominanti e delle dinamiche di potere che caratterizzano i rapporti tra i generi e cheapre a un percorso in continuo divenire. Un percorso che va avanti, torna indietro, gira su se stesso e, ogni giorno, trova altrevie da percorrere per andare verso nuove e imprevedibili esperienze e soggettività.
Alice Manfroni
Il tweet del Ministerio de Igualdad, qui
Riferimenti:
Csordas, T. J., (1990), “Embodiment as a Paradigm for Anthropology”, Ethos, n. 18: 5-47.
Foucault, M. (2017) [1976], Storia della sessualità, Vol. 1, Feltrinelli, Milano.
Fusaschi, M. (2013), Corpo non si nasce, si diventa. Antropologiche di genere nella globalizzazione, Cisu, Roma.
Mauss, M. (1936), Les techniques du corps, «Journal de Psychologie», vol. 32, n. 2.
Scheper-Hughes, N., Lock, M.M. (1987), “The Mindful Body: A Prolegomenon to Future Work in Medical Anthropology”, Medical Anthropology Quarterly, vol. 1, n. 1: 6-41.
Tabet, P. (2014), “Fertilità naturale, riproduzione forzata” in Le dita tagliate, Tabet, P., Ediesse, Roma.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi