Pubblicato il 17 Aprile 2019
L’Algeria e il conformismo sociale, nel romanzo di una giovane scrittrice
di Barbara Palla
Stretta in un vecchio palazzo di un quartiere popolare di Algeri vive la metafora della società algerina. Le ballerine di Papicha (Il Sirente, 2017), primo romanzo della giovane scrittrice algerina Kaouther Adimi, calandosi nell’intimità di una normale famiglia algerina restituisce un quadro complesso delle diverse componenti della società. La quotidianità della capitale soffocata dal conformismo, trova una descrizione completamente nuova nei pensieri dei protagonisti in cerca di una libertà che non sembra essergli concessa.
In poche pagine, Kaouther Adimi riesce a condensare, in un racconto ricco di dettagli e suggestioni, le difficoltà della vita in una città non estranea alla violenza e in una società che deve fare i conti con numerose identità e altrettante rivendicazioni. Come in una sorta di diario intimo allargato, ne Le Ballerine di Papicha (pubblicato in francese anche con il titolo L’envers des autres, Il lato oscuro degli altri) si scoprono le storie dei 9 protagonisti, Yasmine, Adel, Kamel, Sarah, Mouna, Tarek, Hajj Youssef, Hamza e “la madre”, membri della stessa famiglia e abitanti dello stesso quartiere, abituati a condividere rituali quotidiani ma isolati dall’incapacità di comunicare e così distanti tra loro da sembrare estranei.
La bellissima Yasmine ci porta al cuore dell’università algerina, un mondo in pieno fermento dove lei, giovane donna, si trova in una posizione ambigua. Convinta di essere libera, si ritrova bloccata in norme sociali imposte e auto-imposte tanto nei confronti della famiglia che delle amicizie. Suo fratello Adel, è invece un giovane impiegato, fragile e sensibile che non riesce a trovare il suo posto in un mondo del lavoro privo di reali stimoli. Crescendo ha scoperto di sé un segreto inconfessabile, tanto che i suoi amici di sempre Kamel, Namzi e Chakib non riconoscendolo più gli sono diventati ostili. Loro tre, pur non essendo protagonisti, raccontano l’altra faccia di Adel, quella che ha perso le speranze di cambiare vita e che si limita quindi a sopravvivere, nonostante tutto.
Nella stessa casa vivono anche la sorella Sarah, il marito Hamza e la loro figlia Mouna. Il marito, un tempo uomo rispettato e rispettabile, si ritrova ingabbiato in un orizzonte ristretto a causa di una follia fulminante accudito dalla moglie Sarah, una donna bellissima ma incapace di amare nient’altro che la sua pittura inesperta fatta di colori opachi e tenui. La loro figlia Mouna, appena preadolescente, vive nell’illusione di essere una papicha, una giovane ragazza frivola e civettuola, certa che la bellezza e il fascino le garantiranno la libertà di una vita senza pensieri a fianco di Tarek, il molto più pragmatico giovane vicino di casa.
Nonostante vivano nello stesso palazzo, perfino nello stesso appartamento, i personaggi si osservano in silenzio, arrivando perfino a disprezzarsi, senza per questo dirselo. Nell’enorme divario che li separa gli uni dagli altri, si coglie un’angoscia esistenziale scaturita dall’essere costantemente osservati dalla famiglia, dagli abitanti del palazzo, da quelli del quartiere, finanche dal lettore. Da tutti insomma, tranne che da sé stessi.
Dalle vicende dei personaggi, infine, si scopre un certo senso di frustrazione e fallimento nutrito dalla percezione di non avere alternative. Il lavoro, la mobilità sociale, l’amore e il matrimonio non sono che illusioni che si perdono a confronto della necessità di sopravvivere in un paese apparentemente immobile.
Chissà che le rivendicazioni politiche e sociali emerse nelle scorse settimane non siano il primo passo per il risveglio dal torpore descritto da Kaouther Adimi.
Barbara Palla
Kaouther Adimi, Le ballerine di Papicha, Il Sirente, 2017.
Fotografia di Algeri, Martyr’s square, di Damouns (Damien Boilley) from France, in Wikimedia Commons.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi