Pubblicato il 6 Maggio 2019
Una storia della Libia contemporanea, utile da leggere oggi
di Barbara Palla
La Libia è oggi in una situazione precaria, divisa tra un conflitto latente e sconti aperti tra le diverse fazioni del paese; una situazione molto complessa nella quale si intrecciano molteplici interessi, non solo nazionali ma anche internazionali. Le radici di questa contrapposizione sono però molto profonde e per cercare di capirle meglio Federico Cresti, ordinario di Storia dell’Africa all’Università di Catania, e Massimiliano Cricco, associato di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università Guglielmo Marconi, raccontano per l’editore Carocci gli ultimi vent’anni di Storia della Libia Contemporanea: dalla fine dell’isolamento internazionale della Libia alla precipitosa morte del suo carismatico leader Muhammar Gheddafi. Il libro è un testo pragmatico e puntuale, utile da leggere in questo periodo, grazie al quale tracciamo in quest’articolo un riassunto parziale degli eventi che hanno condotto alla situazione libica attuale. Eccolo dunque:
L’inizio degli anni 2000 segnò una svolta nella politica interna e internazionale della Libia. Dopo un lungo periodo di isolamento durato per tutti gli anni ’90 circa, il paese poté riaprirsi al dialogo internazionale, esattamente negli anni in cui il prezzo del petrolio e del gas naturale, principali esportazioni del paese, era in crescita. Dal 1999 al 2003 il paese ottenne una notevole forza economica che gli permise di trovarsi un nuovo ruolo nella comunità internazionale. Dopo aver tentato di unire il mondo arabo-musulmano, Gheddafi spostò la sua attenzione sul continente africano nell’ottica di potenziare le sue istituzioni sovranazionali e creare o rinforzare le alleanze con i paesi limitrofi, al fine di unificarlo economicamente e politicamente.
L’africanizzazione della Libia riguardò principalmente il ruolo che Gheddafi si costruì nell’Unione Africana (UA) a partire dal 2000. Sul piano esterno, il qa’id abbracciò una politica mirata a potenziare le istituzioni dell’UA sia sul piano politico che economico. Nonostante questa sua idea contrastasse con le linee dei suoi corrispettivi africani – maggiormente interessati a usare le risorse dell’Unione per affrontare le gravi crisi umanitarie disseminate sul continente – Gheddafi riuscì a farsi eleggere Presidente nel 2009 e con con una cerimonia folkloristica si fece proclamare “Re dei Re tradizionali”.
Sul piano interno invece, l’africanizzazione si tradusse nell’approvazione di nuove politiche sociali che stimolarono l’immigrazione dalla zona sub-sahariana. Dal Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali, Senegal, iniziarono a fluire sempre più persone attirate dalle opportunità lavorative della società libica e dalla possibilità di imbarcarsi dalle coste per raggiungere l’Europa. Questo flusso suscitò però il malcontento popolare e i migranti divennero progressivamente vittime di incidenti nelle principali città della costa e di un sistema sempre più crudele di racket, sequestro e sfruttamento operato e gestito da sedicenti forze di polizia.
A seguito del riposizionamento post 2000, le principali potenze europee e occidentali ripresero le relazioni con la Libia interessate principalmente dalle sue risorse petrolifere ma anche preoccupate dalla crescente migrazione illegale. Il governo libico fu più volte invitato a concludere accordi che riguardavano lo scambio di risorse, ma anche particolari investimenti e piani di collaborazione per tentare di controllare il flusso di migranti irregolari. Su iniziativa della diplomazia italiana, nell’ottobre del 2004 Gheddafi incontrò a Bruxelles l’allora Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, per concludere un accordo nel quale il qa’id si impegnava a contenere i migranti illegali, in cambio di una fornitura di motovedette e strumenti di avvistamento. Con questa decisione, l’UE di fatto interrompeva il divieto imposto nel decennio precedente al governo libico di acquisire di armi e nel 2007 la Francia sfruttò l’occasione per concludere un accordo sull’approvvigionamento di strumenti bellici. L’anno successivo anche l’Italia, all’epoca guidata da Silvio Berlusconi, concluse un importante accordo di cooperazione con Gheddafi. L’accordo di cooperazione e partenariato, oltre a risolvere questioni legate al periodo coloniale italiano, impegnava reciprocamente i due paesi in termini di investimenti infrastrutturali, militari e soprattutto commerciali.
Questi accordi iniziarono però a suscitare qualche dubbio nelle opinioni pubbliche interne a causa delle caratteristiche scarsamente democratiche, fortemente improntate sull’appartenenza tribale e lo scambio di favori, con cui Gheddafi guidava il proprio paese. I lati oscuri del regime divennero oggetto di dibattito anche all’interno del paese dove si iniziò a cercare un successore. Sebbene nell’entourage iniziò ad emergere il figlio Sayf al-Islam Gheddafi, la transizione fu bruscamente interrotta dalla rivolta del 2011.
Sull’onda delle prime Primavere Arabe in Tunisia e in Egitto, i libici scesero compattamente in piazza, sfidando i divieti governativi, per manifestare contro un sistema fin troppo chiuso e autoritario. Come spiegano Federico Cresti e Massimiliano Cricco, all’epoca, fuori dal paese niente sembrava far presagire l’imminenza di una rivolta popolare contro il governo:
“La visione distorta che si presentava agli occhi di europei e americani era quella di un regime che nonostante le stravaganze di Gheddafi, avesse di fatto il consenso popolare. Ciò che non si comprendeva, o non si voleva comprendere, erano i numerosi lati oscuri della Jamahiriyya. Prima di tutto la continua e massiccia violazione dei diritti umani, ma anche una libertà di stampa che non esisteva, dato che i 4 principali quotidiani del paese erano organi del regime e anche il fatto che tutte le manifestazioni pubbliche non organizzate dal governo erano punite con l’arresto dei manifestanti e nelle prigioni era praticata sistematicamente la tortura.”
La rivolta del 2011 segnò un momento fondamentale nella storia del paese. Nel mese di ottobre, dopo un tentativo di fuga dalla città i Surt, Gehddafi fu ferito e ucciso. L’esecuzione vera e propria avvenne per mano dei ribelli, ma a costringere Gheddafi a nascondersi furono gli aerei militari inglesi e francesi che presero di mira il convoglio con cui il qa’id e un gruppo di fedeli si stavano recando fuori dal paese.
Alla morte di Gheddafi e la fine brusca della Jamahiriyya corrisponde l’inizio della fase di transizione che ancora oggi si trova senza soluzione. L’odierna situazione risente di tutte le precedenti complessità: il ritorno delle antiche rivalità tra gruppi etnici, tribali e familiari e la recrudescenza della violenza dei gruppi e delle milizie islamiste. A questo si aggiunge anche la volontà della popolazione di affrancarsi dalla pesante eredità del regime e la necessità di dare una nuova interpretazione all’identità libica. Infine, lungo questi nodi si inseriscono anche gli interessi delle potenze esterne intervenute prima e durante le rivolte del 2011.
A quasi otto anni dalla morte del qa’id la normalizzazione dei rapporti tra queste parti, e in particolare tra quelle locali sembra purtroppo ancora lontana.
Barbara Palla
Da leggere: F.Cresti e M. Cricco, Storia della Libia Contemporanea, Carocci Editore, 2015.
Federico Cresti è professore ordinario di Storia dell’Africa all’Università di Catania e Massimiliano Cricco è professore associato di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università Guglielmo Marconi.
Immagine #Libya di Twitter Trends su Flickr, licenza CC-BY.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi