Pubblicato il 29 Maggio 2022
La favola dei tre principi di Serendippo, radice del paradigma indiziario
di Melissa Pignatelli
C’era una volta un re che aveva tre figli, principi del regno di Sarandib o Serendippo, che un tempo si distendeva dall’Afghanistan all’oceano. I tre vennero presto esiliati da loro padre, un monarca il cui diadema è “segnato con l’emblema dell’orma di Adamo”, che educati i figli a tutte le arti e avendone fatto dei bravi ragazzi, vuole comunque metterli alla prova.
Prima saggia la loro ambizione e li trova umili e riverenti. Allora con uno stratagemma si finge adirato e li caccia. In cuor suo, vuole che i tre figli esplorino il mondo, che facciano esperienza, vedano i costumi degli altri e diventino adulti ancora più perfetti, pronti per regnare.
I tre principi di Serendippo entrano così come vagabondi in un impero ancora più grande, all’altro emisfero del mondo. Non è specificato il nome del re. Si definiscono “viaggiatori stranieri alla ricerca del nutrimento della sorte”, giacché “nostra meta non è altra che l’osservazione”. Camminano senza direzione precisa, perlustrano il mondo – scrive l’antico poeta persiano sufi Amir Khosrow in Hasht Behesht nel 1300– come razionalisti, fisiognomici, abili nei ragionamenti di analogia. Incontrano un cammelliere che ha perso il cammello e i tre gli dicono di averlo visto. Per dimostrarglielo gli indicano tre indizi, uno ciascuno: è cieco da un occhio; gli manca un dente; ha una gamba zoppa. Il cammelliere conferma e corre a cercarlo, ma non lo trova. Di ritorno, incontra di nuovo i tre principi, che aggiungono altre tre caratteristiche: porta olio da una parte e miele dall’altra; ha una donna in groppa e costei è gravida.
A questo punto il cammelliere si insospettisce, pensa che abbiano rubato loro la bestia e li denuncia al re. Dinanzi a sua maestà il re Beramo, nel giustificarsi per il cammello, i tre dicono che è stata solo una burla: “Senza volere, la bugia che gli diciamo, per caso corrisponde al vero”. In pratica, invocano una sorta di coincidenza casuale tra le loro supposizioni e la realtà. Il re risponde che è improbabile che ben sei “menzogne inconcludenti” azzecchino tutte insieme la realtà (come dargli torto). Dunque li accusa di furto e li mette in galera. Per loro fortuna, poco dopo il cammelliere ritrova donna e animale, e li scagiona.
Ora dunque le capacità osservative dei tre principi sono palesi: in effetti hanno azzeccato tutte e sei le caratteristiche della scena, pur non avendo mai visto prima il cammello. Interrogati dal re, i tre giovani spiegano sulla base di quali indizi hanno indovinato i dettagli circa l’animale e la donna incinta.
Una volta scagionati dal ritrovamento dell’animale, davanti a Beramo i tre pronunciano il primo discorso di svelamento della loro arte indiziaria: hanno capito che il cammello era cieco da un occhio perché ha brucato l’erba sul lato peggiore della strada, se fosse stato vedente da entrambi gli occhi avrebbe mangiato sull’altro lato; che era senza un dente perché i bocconi di erba masticati potevano passare dallo spazio di un dente; zoppo, perché la quarta orma era trascinata; poi aveva burro su un lato perché c’erano molte formiche, miele sull’altro perché c’erano le mosche, ghiotte del secondo; una donna sulla groppa per via dell’orma del piede e dell’urina, annusata la quale uno dei tre principi era stato assalito da concupiscenza carnale; infine, la donna era incinta, perché per rialzarsi dopo aver orinato si era aiutata con entrambe le mani, lasciandone l’orma.
Ecco svelata la trama dei sei indizi. Il sovrano è soggiogato dalla loro “fisiognomica irreprensibile”, decide di tenerli con sé e comincia a spiarli per carpire i loro segreti. Mentre sono seduti a banchetto i tre fanno altre tre speculazioni, che si riveleranno esatte: il vino che stanno bevendo proviene da un vigneto piantato dove un tempo era un cimitero; l’agnello che stanno mangiando è stato allevato con latte di cagna; e il monarca non è di puro sangue nobile, perché in realtà è figlio di un cuoco. Punto sul vivo (soprattutto dall’ultima ipotesi), il re verifica che è tutto vero. La madre da giovane tradì suo padre e lo confessa al figlio. Pentito di quell’inchiesta, il re si fa raccontare un’altra volta dai tre principi come sono riusciti a capire “quei fatti nascosti”. Gli indizi sulla sua illegittimità erano che gli mancava un segno dinastico, il re parlava sempre del pane, la sua fisiognomica.
Dopo che il re a corte li ha spiati e ha verificato la correttezza delle altre tre ipotesi, arriva la seconda ricostruzione indiziaria dei giovani principi: il vino viene da una vigna che prima era un cimitero perché causava mestizia in chi lo beveva; l’agnello è stato allevato con latte di cagna, perché la sua carne lasciava la bocca salata e piena di schiuma; infine, il consigliere del re vuole ucciderlo per aver condannato a morte suo figlio (è sparita la storia del re figlio di un cuoco, troppo scabrosa) e i tre principi detective lo hanno capito perché il consigliere è arrossito e ha chiesto da bere durante un discorso dell’imperatore sui castighi per i malvagi. Beramo chiede ai principi come fare per smascherare il consigliere traditore e i tre ordiscono un piano di successo che porta il reo a confessare.
Il lieto fine è apprestato. Beramo felicissimo ricopre di tesori i tre principi e li rimanda finalmente a Serendippo. Il vecchio e ormai malato Giaffer li accoglie con gioia. Dopo aver appurato che avevano svolto il loro compito ed erano ora “perfetti”, “per avere colla dottrina le varie maniere e costumi di diverse nazioni apparate”, li benedice e muore. Il primogenito gli succede e governa con saggezza. Il secondo ha fatto promessa di matrimonio alla regina d’India e torna da lei. Al terzo Beramo, ormai anziano, offre in sposa la figlia. Quindi, a conti fatti, ai tre principi di Serendippo vanno rispettivamente il regno di Serendippo stesso, il regno di Beramo e il regno d’India. In pratica, si ritrovano a capo di tutto l’Oriente. Non male come percorso di iniziazione!
Ricostruzione della favola dei Tre principi di Serendippo di Melissa Pignatelli, dal testo di Telmo Pievani Serendipità (2021) per Raffaello Cortina editore.
La favola è stata scritta dal poeta persiano sufi Amir Khosrow nel 1300 ed è presenta nella raccolta Hasht Behesht (Gli otto paradisi). La favola è stata tradotta in italiano da Cristoforo Armeno per le stampe di Michele Tramezzino a Venezia nel 1557. Horace Walpole legge la storia di Cristoforo Armeno e la traduce in inglese come Three princes of Serendip, successivamente conia la parola serendipità in una lettera all’ amico Horace Mann che vive a Firenze, nel 1754: serendipità indica la capacità di scoprire la verità per caso o per sagacia, basandosi sull’interpretazione di indizi, tracce, spie. Nel 2012 Faridè Lava e Alain Lance ritraducono il testo di Amir Khosrow Les trois princes de Serendip dal persiano al francese per l’editore Hermann. Voltaire in Zadig e Arthur Conan Doyle in Sherlock Holmes costruiscono dei personaggi capaci di usare la serendipità come paradigma indiziario per conoscere la verità. Carlo Ginzburg scrive per Einaudi nel 1986 Miti. Emblemi. Spie Morfologia e storia nel quale ricostruisce le radici di un paradigma indiziario sulla base della fisiognomica esplicitata nei Tre principi di Serendippo.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi