Pubblicato il 27 Giugno 2025

Antropologia & Accoglienza: “Si può fare!” – il racconto di un operatore antropologo

di Davide Biffi

Nel 2011 il Nord Africa e il Medio Oriente furono attraversati dalle Primavere Arabe e migliaia di persone raggiunsero l’Europa: l’Italia decretò l’Emergenza Nord Africa per gestirne l’arrivo. Nel 2011 iniziai la mia carriera di operatore-ricercatore in un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS). I CAS sono luoghi creati in quel periodo per accogliere i richiedenti asilo, creati sulla scorta di una supposta emergenza. a distanza di quasi quindici anni Ancora oggi esistono e ci ricordano come, a “colpi” di emergenza, il governo delle migrazioni sia gestito e trattato a livello pubblico.

Negli anni di ricerca ho descritto il mio lavoro nei servizi dedicati a richiedenti asilo e rifugiati da una prospettiva emica mostrando la concretizzazione quotidiana delle politiche, caratterizzate da controllo, esclusione, abbandono, discrezionalità da una parte, ma anche creatività, professionalità, militanza e cura, dall’altra. Ho descritto un sistema che favorisce a intermittenza l’inclusione, il sostegno, la marginalizzazione e l’abbandono delle persone al proprio destino, in un continuo movimento oscillatorio tra questi poli.

Ho incontrato, affrontato e selezionato per la scrittura vari temi: la presa in carico delle persone definite “vulnerabili”; i processi di co-costruzione delle biografie dei richiedenti asilo presentate all’audizione in Commissione Territoriale- l’istituzione preposta al riconoscimento (o meno) di una forma di protezione internazionale e quindi della possibilità di risiedere legalmente nel territorio dello Stato; la costruzione di relazioni burocratiche istituzionali tra i soggetti; le assenze istituzionali di fronte ai bisogni primari di esseri umani con o senza fragilità. Fragilità personali che si creano qui, nella presunta società d’accoglienza, che si esasperano sino a diventare patologie difficilmente reversibili.

Ogni tema è stato esplorato a partire dall’etnografia dei campi di lavoro attraversati in dialogo con l’antropologia medica, l’etnopsichiatria, l’antropologia politica. Il risultato è un’etnografia delle migrazioni e dello stato, intrecciata costantemente alla riflessione sulle questioni politiche ed etiche sul ruolo pubblico dell’antropologia e degli antropologi. Etnografia dello stato costruita direttamente “dal di dentro” e in dialogo con i vari soggetti che si muovono sul campo dei servizi socio-sanitari per richiedenti asilo e rifugiati. Etnografia dello stato che si costruisce là dove le cose accadono, in una di quelle migliaia di situazioni dove lo stato si concretizza in carne e ossa, in uffici, persone, scelte. Etnografia che diventa necessariamente auto-etnografia.

Uno degli obiettivi mi sono sempre posto è quello di seguire –e capire- dove finisce, che ne è, della sofferenza sociale così prodotta in un tale sistema.
Il dialogo impostato attraverso il volume si rivolge alle operatrici e agli operatori dei servizi pubblici e privati che si relazionano con richiedenti asilo e rifugiati: non solo la cosiddetta accoglienza, ma in generali tutti i servizi, poiché l’accesso ai diritti di cittadinanza spetta anche a questa quota di popolazione. Il libro è rivolto anche ad un pubblico più vasto, non solo di addetti ai lavori: singoli cittadini, solidali, politici, membri di collettivi, associazioni, enti caritatevoli.

È stato necessario ricostruire il periodo storico che va dall’Emergenza Nord Africa ad oggi: sia al fine di ragionare criticamente le scelte dei governi succedutesi negli anni, che per capire le conseguenze di tali scelte sul sistema di accoglienza italiano e sui richiedenti asilo e rifugiati implicati in esso. L’autoetnografia è stata la chiave di analisi antropologica e di scrittura che porta il lettore nella quotidianità delle interazioni tra richiedenti asilo e rifugiati e gli apparati statali, incarnati in operatori di vario genere.

Gli echi basagliani spronano lavoratori del settore e organismi decisionali a pensare ad un nuovo modello di accoglienza e accompagnamento di richiedenti asilo e rifugiati: ripensare il sistema basato su campi e progetti, immaginare nuove soluzioni, progettare un nuovo welfare davvero inclusivo. “Si può fare!” grazie anche al lavoro di antropologi e antropologhe che stanno dentro alla rete dei servizi per richiedenti asilo e rifugiati.

Davide Biffi

L’autore
Davide Biffi, educatore dal 2006, lavora dal 2011 nel settore delle migrazioni forzate. Ha ricoperto differenti ruoli in più realtà del terzo settore tra le province di Milano, Monza e Lecco. Nel 2021 ha terminato un Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca con un’etnografia sulla sua esperienza di ricercatore-operatore. Attualmente coordina un progetto SAI. È membro della SIAA (Società Italiana di Antopologia Applicata) e di Escapes laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate

Immagine: La gentilezza verso se stessi e verso gli altri nella campagna contro il bullismo di un’associazione britannica

 

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