Pubblicato il 27 Ottobre 2021

Paikuli, lo spirito dell’Impero Persiano scavato dagli archeologi italiani

di Melissa Pignatelli

Nell’odierno Iraq, sul versante kurdo di un monte assolato della catena montuosa degli Zagros, giace semieretto un cumulo di pietre usurate dal tempo cui hanno dato nuovo spirito un gruppo di archeologi italiani della Sapienza. Il luogo preciso, chiamato Paikuli, era un crocevia tra la provincia sasanide dell’Asurestan con la capitale Ctesifonte e l’altopiano iranico. Nulla – ancora –  ricorda che in questo luogo i notabili dell’impero attesero l’arrivo di Narseh dopo la sua vittoria su Wahram III, per riconoscerlo come nuovo sovrano sasanide, ultimo regno preislamico dell’Impero Persiano.

In quel periodo Narseh, figlio di uno dei più celebri sovrani della dinastia sasanide, Šābuhr I (240-272 d. C.), era viceré d’Armenia, un titolo spesso associato all’erede al trono. Venuto a conoscenza di un tentativo di manipolazione della sua successione da parte di Wahram III, Narseh aveva marciato con il suo esercito verso sud raggiungendo il passo di Paikuli dove aveva incontrato una delegazione di Grandi del regno disposti a riconoscerlo come legittimo sovrano e a offrirgli la corona del regno iranico (Ērānšahr).

Anni dopo, a Paikuli, tra il 293 e il 302/3 d.C., al fine di commemorare l’avvenuta vittoria sui nemici usurpatori e la restaurazione dell’ordine sociale, Narseh aveva fatto erigere un monumento recante, su due lati, una lunga iscrizione bilingue in mediopersiano e partico. Conosciuta oggi come epigrafe di Narseh è una delle più significative fonti a noi pervenute sulla storia del primo periodo sasanide e sullo sviluppo delle lingue medio-iraniche. Il contenuto è quasi identico in entrambe le versioni tanto che, nonostante la scomparsa di numerosi blocchi, la lettura dell’iscrizione può essere agevolata dalla sovrapposizione dei due testi, maniera in cui si riescono a ricucire le numerose lacune che occorrono.

La prima parte è introdotta dalla presentazione dei titoli regali di Narseh che affermano il suo status di Re dei Re dell’Ērān e del non Ērān secondo la tipica titolatura ufficiale sasanide. L’iscrizione prosegue poi con una lunga sezione narrativa che riporta gli eventi storici fino al confronto con Wahrām III e Wahnām e la loro sconfitta, descrivendo infine nel dettaglio la corrispondenza fra i Grandi del regno e il futuro sovrano. La sezione finale dell’iscrizione include invece una lunga lista di nobili e dignitari che si recarono a Paikuli per giurare fedeltà a Narseh. Il registro linguistico dell’iscrizione ha uno stile arcaizzante e solenne; parimenti l’insieme del contenuto testuale preserva diverse formule e un patrimonio di motivi narrativi radicati nella tradizione epica orale e nel dualismo zoroastriano. Per questo motivo non è sorprendente notare che l’impresa del sovrano è lì inserita in un contesto mitico-religioso attraverso il quale le gesta di Narseh assumono una dimensione escatologica nell’ambito del confronto cosmico tra forze del bene e forze del male.

Sebbene quest’iscrizione si presenti oggi in una condizione frammentaria e con molte lacune, il suo contenuto rappresenta una delle più ragguardevoli fonti primarie riguardanti l’Iran sasanide, offrendo una serie di dati preziosi per la ricostruzione della geografia amministrativa dell’impero persiano così come per la conoscenza della gerarchia di corte e delle cariche ufficiali.

Paikuli, sito che oggi appare come parte di un paesaggio di altitudine cosparso di rocce e vegetazione rada e scarsa, era un valico molto utilizzato nel periodo sasanide quando il passaggio di mercanti, soldati, nomadi e imperatori ne facevano il nodo focale di un articolato sistema stradario che connetteva la capitale Ctesifonte e il limes occidentale in Alta Mesopotamia con il cuore dell’altopiano iranico e il lontano oriente. Almeno tre antiche strade, di nevralgica importanza per la vita e la coesione dell’impero sasanide, intersecavano quest’area. Le evidenze archeologiche ancora visibili sul territorio e le fonti storiche concordano nel sottolineare la valenza strategica di questa regione sia da un punto di vista economico che militare.

Una parte di antiche pietre monumentali tutt’ora poste circolarmente sono rimaste a Paikuli, dove il capo della missione archeologica, il professore Carlo Cereti, ha coinvolto gli abitanti di un paesino vicino per assicurarne la conservazione e la salvaguardia. Già interessate dalla presenza del monumento, le famiglie di Barkhali hanno collaborato ai lavori della missione archeologica italiana come operai e come guardiani di un sito che lo spirito di collaborazione vorrebbe rendere fruibile ai visitatori, principalmente turisti iraniani, kurdi e zoroastriani, che si recano nella zona di Erbil verso Sulaymaniyah dove sorgono i resti.

I reperti principali, come le statue e le pietre incise, sono già più facilmente fruibili nella nuova ala del museo archeologico di Sulaymaniyah nella provincia di Erbil, lo Slemani Museum, nella “King Narseh Gallery” (inaugurata il 24 Ottobre 2021), che l’Università La Sapienza ha realizzato dimostrando il valore della cooperazione internazionale.

Progetti mirati, pensati e condivisi con le società e gli enti locali che riescono a portare entusiasmo, pace e collaborazione in luoghi che solitamente sono teatro di tutt’altre narrazioni. Per dirla in chiave zoroastriana, una piccola vittoria dello spirito del bene di Paikuli oggi in kurdistan iracheno.

Melissa Pignatelli

Le fonti per la ricostruzione storica di quest’articolo si possono consultare qui sul sito della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno (MAIKI) del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza – Università di Roma

Si ringrazia il prof. Carlo Cereti.

Condividi l'articolo sui tuoi Social!

SOSTIENI




Ultimi articoli