Pubblicato il 23 Aprile 2025
Antropologia a scuola, nuove prospettive per l’educazione
di Jennifer Morana

Come affermava Rudolf Steiner, “Il nostro più alto sforzo deve essere quello di sviluppare esseri umani liberi che siano capaci di dare da soli scopo e direzione alle loro vite. Il bisogno dell’immaginazione, un senso di verità e un sentimento di responsabilità: queste tre forze sono il vero nervo dell’educazione” (Opera Omnia 307).
Quanto si può imparare soffermandoci ad ascoltare attivamente e mettendoci in risonanza all’altro? Le storie degli altri sono una miniera di senso, e proprio da qui siamo partiti, con sei classi di bambini e ragazzi dell’istituto Simona Giorgi di Milano in occasione dell’Anthroday 2025. Attraverso la co-lettura del testo C’era una volta e ancora ci sarà di Johanna Schaible, albo illustrato pubblicato nel 2021 e già tradotto in più di 7 lingue, abbiamo portato gli studenti e le studentesse a condividere aspirazioni, sogni e desideri per l’avvenire, così come parti della propria quotidianità. Questa base ha fatto germogliare un dialogo circolare, dove le narrazioni individuali non sono rimaste isolate, ma si sono intrecciate in una trama più ampia di significati condivisi, creando una visione collettiva del futuro, componendo così una piccola società in miniatura, fatta di vissuti diversi e legati da fili invisibili.
Sono emerse ritualità e abitudini diverse, già a partire dal risveglio: alcuni bambini si alzano alle sei del mattino, mentre altri possono dormire più o meno fino alle otto, c’è chi inizia la giornata con una preghiera e chi attende con gioia la torta preparata dalla nonna prima di fare qualunque altra cosa.
Alla domanda “Dove vivrai tra dieci anni?” le risposte hanno rivelato una varietà di prospettive. Non di rado è stato espresso il desiderio di “tornare a casa”, evocando un senso di appartenenza a radici geograficamente lontane, qualcuno ha parlato dei nonni in Sud America, di un genitore in Tunisia, una casa in Ucraina o di parenti sparsi per la Cina e della speranza di un ricongiungimento familiare. Infine, c’è chi ha dichiarato di non voler mai lasciare Milano, identificandola come il proprio luogo del futuro.
Per quanto riguarda i desideri e le ambizioni, le risposte hanno spaziato da aspirazioni professionali a sogni personali. Tra le risposte più frequenti, emerge il desiderio di diventare calciatore, ma anche dottoressa, qualcuno spiega e racconta “per guarire mia madre”, spesso sono state citate attività a sfondo sportivo, come la volontà di partecipare alle Olimpiadi o il sogno di giocare in una squadra di pallavolo, ma anche di diventare attore o persona che si occupa di spettacolo. Altri hanno espresso aspirazioni più intime, come “voglio solo che mio marito mi voglia bene”, oppure il desiderio di “guadagnare molto per poter donare ai meno fortunati”. Tra le ambizioni più frequenti, si annoverano anche il desiderio di aiutare quante più persone a stare bene, di avere molti figli, ma anche di diventare “influencer o youtuber”. Infine, una bambina ha concluso: “Vorrei chiedere meno e dare di più”. Nel giro di poco tempo, il laboratorio si è trasformato in una vera e propria officina di immaginari collettivi.
Poi abbiamo guardato insieme immagini di vita scolastica quotidiana in diverse regioni del mondo—con particolare attenzione all’area desertica del Thar tra Pakistan e Rajasthan e al Nepal centrale— e si è aperta un’ulteriore finestra sulla riflessione tra esperienze vicine e lontane, pratiche, abitudini alimentari e dinamiche sociali.
“Praticamente alla fine facciamo tutti le stesse cose”, ha commentato una studentessa. E lì l’antropologia si è fatta davvero viva: non solo nel riconoscere l’altro, ma nel riconoscersi nell’altro ci ha mostrato una via possibile di come il riconoscimento dell’alterità possa avvenire non solo attraverso le differenze, ma anche mediante la scoperta di analogie profonde tra le esperienze umane.
L’ultima fase dell’evento scolastico, attraverso la libera espressione artistica, ha stimolato la sfera creativa di ciascuno e si è conclusa nella fioritura di centinaia di elaborati, ora esposti per i corridoi dell’istituto milanese, mostrando su più livelli una realtà composita, costituita da una folta eterogeneità di forme, linee e colori. La partecipazione alla collettiva creazione e condivisione di idee, immagini e racconti ha permesso così a tutti i partecipanti, di attraversare il binomio noto/ignoto, dilatando il proprio spazio-tempo in un’esperienza realmente condivisa.
Nel nostro incontro a scuola abbiamo visto come il raccontarsi sia diventato un atto di un’educazione sentimentale. Un esercizio di delicatezza. Un modo per dire: “Io ci sono, e questo è il mio mondo”. E poi ascoltare quello degli altri, con cura, senza giudicare. L’antropologia, così, è diventata gesto. Presenza. Relazione. Un modo per toccare la complessità umana con mani piccole, ma già pronte. Per riconoscere negli altri non una minaccia, ma un’estensione del proprio sentire.
Se la narrazione ci ha permesso di condividere le nostre riflessioni con gli altri e l’introspezione di riflettere sulle nostre esperienze, nel mezzo abbiamo messo in luce come ci siano ampi spazi che possono diventare una base per la comprensione e lo scambio, viceversa questi stessi spazi possono trasformarsi in chiusure che favoriscono l’incomprensione e l’esclusione.
Il ruolo della scuola, dell’educazione, non significa dunque riempire teste di nozioni, ma stimolare la persona nella sua interezza – pensiero, sentimenti, corpo – e accompagnarla in maniera organica, interdisciplinare nel suo percorso unico. Questo si rifà inevitabilmente all’etimologia più intima del termine educare, nell’accezione di «trarre fuori».
In questo senso, la scuola è intesa come luogo di fioritura, non di performance. Un’educazione che non calca, ma coltiva. Così nell’approccio steineriano che abbiamo citato in apertura, l’educazione vede il bambino al centro dell’educazione: ognuno viene accolto, osservato e valorizzato nella sua individualità, in tutte le poliedriche sfaccettature che lo costituiscono e nelle potenzialità innate e in divenire. Enfatizza inoltre l’importanza fondamentale di nutrire la sfera artistica e pratica, ritenute al pari di quella intellettuale e non meramente subordinate.
Esperienze come quella descritta illustrano come l’antropologia possa essere introdotta anche nell’educazione scolastica fin dall’infanzia, contribuendo a sviluppare una consapevolezza critica delle varietà culturali e dell’unità dell’umanità. In tutto questo, l’antropologia non è apparsa come qualcosa di lontano, complicato, “da grandi”. È stata vissuta. Praticata. Riformulata in modo intuitivo e profondo, come se fosse parte della vita quotidiana. Perché in fondo lo è.
Jennifer Morana
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi